Raymond Carver e i testi di un sito web
Che c’azzecca Raymond Carver con la scrittura dei testi di un sito, lui che ha vissuto quando il world wide web non era ancora nato e la condivisione di parole scritte si aggrappava stretta stretta al foglio di carta? C’azzecca, c’azzecca e te lo spieghiamo prendendo spunto da uno dei racconti carveriani più noti. Ma prima un passo indietro.
Un post nato come un fungo
Questo post è uno di quelli che nascono in maniera spontanea dalla tastiera, come i funghi dal sottobosco. Del resto, siamo o non siamo in autunno? Non divaghiamo! Questo post non era previsto nel calendario editoriale ma lui ha fatto capolino, piano piano si è fatto spazio e non c’è stato verso: ha preteso di essere scritto.
Così è capitato di rileggere un grande classico della letteratura americana, di restarci secche un’altra volta (come rileggendo qualsiasi altro racconto di Carver, in verità) e di pensare che quella storia poteva essere utile per affrontare la questione dei contenuti di un sito da un punto di vista diverso.
Di quale racconto stiamo parlando? Di Cattedrale. Un racconto talmente grande che dopo averlo nominato ci sta il punto e basta. Però ci sta anche di entrare nei suoi meccanismi espressivi per capirne il valore simbolico ai fini della scrittura in generale e, nello specifico, della scrittura dei testi di un sito internet.
La questione del vedere
Il racconto parte in quarta e, senza girare tanto intorno alla questione, ci dice subito di che si tratta:
C’era questo cieco, un vecchio amico di mia moglie, che doveva arrivare per passare la notte da noi. Gli era appena morta la moglie. E così era andato a trovare i parenti di lei in Connecticut. Aveva chiamato mia moglie da casa loro. Avevano preso accordi. Sarebbe arrivato in treno, un viaggio di cinque ore, e mia moglie sarebbe andata a prenderlo alla stazione. Non l’aveva più visto da quando aveva lavorato per lui un’estate a Seattle, dieci anni prima. Comunque lei e il cieco si erano tenuti in contatto. Registravano dei nastri e se li spedivano per posta avanti e indietro. Non è che fossi entusiasta di questa visita.
Con il suo solito sguardo irriverente, Carver rivela i cardini della storia in poche righe composte da frasi brevi e da un linguaggio estremamente chiaro: letto metà del primo paragrafo (ma forse anche solo il primo periodo), conosciamo già i personaggi, abbiamo un’idea dei loro rapporti, sappiamo che uno di essi è diverso e che la sua visita mette a disagio. Intorno a questo disagio, che altro non è che il conflitto della storia, si muove una narrazione racchiusa in uno spazio tanto circoscritto quanto ricco di significato.
Non ci interessa seguire per filo e per segno lo sviluppo della storia: lo lasciamo al piacere della tua privatissima lettura. Quello che ci interessa, invece, è arrivare al punto nevralgico del racconto, quando la moglie si addormenta sul divano e suo marito resta da solo a parlare con Robert, il cieco. In sottofondo la televisione è accesa e passa un documentario sulla chiesa e il medioevo. Robert ascolta. Poi la tv fa vedere una cattedrale, poi un’altra e un’altra ancora. Archi rampanti, guglie, statue. Allora all’uomo viene in mente di chiedere a Robert:
Ma tu ce l’hai un’idea di che cos’è una cattedrale? Cioè, di che aspetto hanno? Capisci? Se qualcuno ti dice “cattedrale”, hai un’idea di che cosa sta parlando? Per esempio, la sai la differenza che passa tra quella e una chiesa battista?
Robert espone quel poco che sa e, a sua volta, chiede una descrizione. L’uomo ci prova ma “come si fa a descriverla, anche a grandi linee?”. L’impresa è ardua e lo capisce subito: tutte le parole che usa per spiegare com’è fatta una cattedrale coinvolgono il senso della vista. È inutile, non ci riesce. Ma a quel punto Robert ha un’idea: “Perché non ti procuri un pezzo di carta pesante? E una penna. Proviamo a fare una cosa. Ne disegnamo una insieme”.
Così i due uomini si siedono per terra l’uno accanto all’altro e, su una busta di carta stesa sopra il tavolino da fumo, iniziano a disegnare una cattedrale: il cieco chiude la mano su quella dell’uomo e ne segue i movimenti. Vanno avanti come ipnotizzati. Quando la moglie si sveglia, vede la scena e chiede che cosa stia succedendo, il marito non le risponde neppure. Robert la tranquillizza: tutto bene, stanno disegnando una cattedrale e incita l’uomo a chiudere gli occhi. Lui lo fa e la situazione si rovescia: adesso sono le dita del cieco a guidare quelle dell’uomo nel tastare i segni lasciati dalla penna su tutta la carta. Quando Robert chiede all’uomo di riaprire gli occhi per dire com’è venuto il disegno, lui continua a tenerli chiusi perché non ha più bisogno di vedere per capire che quella cattedrale “è proprio fantastica”.
Ecco cosa dovrebbero riuscire a fare i testi di un sito web: far vedere anche a occhi chiusi, anche in assenza di foto o video. Far vedere chi sei e cosa fai con le parole. Siamo arrivate fino a qui per dirti questa cosa e ora, se avrai voglia di continuare a leggere, te la spieghiamo un po’ di più.
La questione del vedere e la comprensione del testo
La situazione che propone Carver in Cattedrale traspone in storia quello che succede quando, nella comunicazione, due interlocutori non sono allineati. Nella storia c’è una persona non vedente di fronte a un vedente e la questione del vedere determina, o meglio, limita le possibilità di comprensione reciproca finché Robert non pensa di usare un senso alternativo a quello della vista, il tatto, per ovviare ai limiti del linguaggio. Nella comunicazione (verbale e scritta), può accadere che i due interlocutori non parlino la stessa lingua, non condividano le stesse esperienze, non abbiano gli stessi mezzi espressivi o, più semplicemente, non si conoscano.
Quando un utente capita per la prima volta sul tuo sito accade qualcosa di simile: non sa di te ed è cieco di fronte alla “tua cattedrale” quanto Robert di fronte alla tv. Deve poter capire chi sei e cosa fai attraverso le parole . Come fare perché i testi di un sito riescano in questo intento? Per rispondere ci viene in soccorso una grande della scrittura efficace, Annamaria Anelli, che nella prima puntata del podcast “Le parole per farlo” (disponibile su Storytel), sottolinea il potere immaginifico delle parole concrete di contro ai cliché, ai plastismi, all’uso fuori luogo di termini inglesi, a formule espressive ormai logore e svuotate di senso.
Le parole concrete sono immaginifiche, cioè proiettano immediatamente nella nostra testa delle immagini.
Nello specifico, Annamaria Anelli si riferisce all’uso delle parole per rendere più efficace una presentazione di sé da allegare al c.v. o da usare per candidarsi a una nuova posizione lavorativa, ma il discorso è estendibile ben oltre. Scrittura e vista, infatti, sono intimamente legate perché, di fatto, ogni volta che leggiamo uno scritto nella nostra mente si formano visioni e idee generate dalle parole. Basta pensare a quando apriamo un libro e vediamo scorrere nella nostra mente un privatissimo film.
Ecco, questo “film” ha molto, molto a che fare con il livello di comprensione e di coinvolgimento di un testo: più quel testo sarà chiaro e dettagliato, più chi legge avrà possibilità di “vederlo” e capirlo; più la storia saprà suscitare delle sensazioni, più chi legge resterà incollato e si sentirà coinvolto. D’altro canto, in un curriculum o su un sito, “non potete permettervi che chi sta leggendo di voi scappi via”, per citare ancora Annamaria Anelli. Ma allora, nelle pratica, come fare a creare queste visioni con le parole? Scopriamolo!
Creare visioni con le parole di un sito: 10 indicazioni utili
Sull’argomento potremmo scrivere l’equivalente di un’Edda di Snorri (un’Edda-che? Scusa, non è altro che un luuunghissimo manuale di poetica norrena. Reminiscenza universitaria). Qui ci limitiamo a darti dieci consigli base di carattere linguistico e strategico-organizzativo. Nel caso del tuo sito, infatti, le parole che sceglierai per parlare di te e del tuo business lavoreranno di pari passo con altri elementi, primo tra tutti il tuo obiettivo di comunicazione. Perciò, tanto vale partire da quello:
- non perdere di vista l’obiettivo per cui hai creato (o fatto creare) una determinata pagina web. Rispettalo per filo e per segno in termini di esaustività e di chiarezza del testo. Per riuscirci, domandati più volte perché stai scrivendo quel testo ricordando che il primo criterio per il quale una pagina web risulta di valore agli occhi di Google è proprio questo: che assolva completamente allo scopo per il quale è stata creata;
- parti da una scaletta dove indicherai i punti chiave del tuo testo: ti aiuterà a scriverlo, svilupparlo e rivederlo con maggior coerenza;
- ricorda il magico potere di un titolo ben fatto: attira l’attenzione, coglie nel vivo di un bisogno, ispira, convincere a cliccare, comprare, scoprire… Sono tanti, tantissimi i compiti le affidati alle poche parole che compongono un titolo, ed è per questo che è necessario curarle con estrema attenzione;
- no ai muri di testo sì a un testo organizzato per facilitare la lettura che, sulle pagine web, segue molto spesso un andamento a F. Il che significa che anche lo spazio bianco svolge un ruolo e che questo ruolo si gioca con titoli, sottotitoli, grassetti, link, elenchi puntati;
- parla nella lingua del tuo pubblico: evita i tecnicismi e tutte quelle espressioni trite e ritrite, apparentemente da fighi, in realtà incapaci di distinguerti. Annamaria Anelli, in “Le parole per farlo” ricorre all’esempio lampante di Paola Faravelli che, sul sito della sua agenzia immobiliare, evita accuratamente di ricorrere a una serie di cliché linguistici quali “cucina abitabile” o “dotato di ascensore” per il semplice fatto che nessuno si esprimerebbe mai così nella vita reale;
- scendi nei particolari concreti di te e del tuo lavoro: aiuterai chi non ti conosce a farsi un’idea precisa dei tuoi prodotti o servizi, aiuterai chi ti conosce già a capire meglio la diversità e i dettagli della tua proposta;
- mostra, non raccontare: show don’t tell, è la famosa raccomandazione narrativa d’origine anglosassone che incita a usare un linguaggio cinematografico, capace di mostrare una scena fatta di azione, dialoghi, di uso dei cinque sensi. Fuor di metafora narrativa, questo consiglio ha a che fare con il precedente ed è utile per chiunque voglia imprimere efficacia e vividezza a un testo, compreso il testo della pagina di un sito web;
- evita i modi di dire e le frasi fatte: è una delle raccomandazioni sulle quali si concentra Annamaria Anelli nel podcast che ti abbiamo indicato poco sopra. Per uscire dall’uso di certe forme linguistiche stigmatizzate, per esempio, è possibile esercitarsi nel fare una sorta di traduzione dal tuo pensiero a “parole concrete, consapevoli e personali”;
- attenzione all’uso degli aggettivi: spesso sono in eccesso e invece di rafforzare l’efficacia di un testo e la sua capacità immaginifica, la indeboliscono, oltre ad appesantire il discorso.
- lavora sulla tua identità verbale e sul tuo tono di voce al punto da arrivare a costruirti un mini-vocabolario in grado di integrare le parole chiave e le loro variazioni semantiche nell’ottica di parlare di te e di far emergere la tua unicità (se ti rendi conto di non riuscirci da solo, rivolgiti a un professionista).
Morale della “favola” carveriana?
Tornando a Carver e al suo magnifico racconto, è vero che qui si parla di un genio della letteratura americana, ma è altrettanto vero che il suo esempio così illustre filtra attraverso l’uso di un linguaggio tanto concreto quanto immaginifico. Sarà ben dura, infatti, trovare in Carver un volo pindarico o sovra aggettivazioni inutili: le sue parole sono semplici, precise, ficcanti. Robert è un cieco non un non vedente. Il disegno di una cattedrale è il disegno di una cattedrale non una rappresentazione grafico-pittorica di una struttura architettonica complessa di epoca gotica o neogotica sostenuta da elementi asimmetrici simili ai contrafforti usati per scaricare al suolo le spinte laterali e verso l’esterno. Tanto per fare due esempi di numero.
Ma non è tutto. La morale della favola carveriana che oggi ti abbiamo raccontato per trattare il tema di come scrivere dei testi efficaci per un sito web, propone una situazione nella quale il linguaggio immaginifico legato alla vista, di fatto, fallisce e deve essere sostituito con il rimando a un altro senso, quello del tatto, perché si riattivi una comunicazione. Eppure l’effetto di una visione viene raggiunto ugualmente, tanto che l’uomo non ha più bisogno di vedere con gli occhi la cattedrale che ha disegnato: riesce a sentirla, percepirla, per così dire. Da qui l’importanza di lavorare a testi capace di coinvolgere il rimando a sensazioni uditive, olfattive, tattili, emotive ben precise.
Detto altrimenti, è proprio il cieco colui che riesce a vedere con i sensi alternativi a quello della vista e questa capacità ci esorta a fare come lui: scavalcare i limiti del linguaggio, tradurre le idee in nuove espressioni per migliorare il nostro modo di comunicare e di comprenderci tra individui diversi e unici. Vale dentro e fuori da un sito web. Non ti pare?
Foto di Christina Hernández da Unsplash